Chi l’avrebbe mai detto. Negli anni del boom esponenziale dei social network anche per le aziende – in testa Facebook, Twitter e sempre di più anche il social fotografico di casa Zuckerberg Instagram (ne ho scritto su Nòva del Sole24Ore intervistando Vincenzo Cosenza) – si regista un ritorno alla scrittura aziendale sulle piattaforme di blogging. Piattaforme che di fatto oggi ospitano storie, interventi, testimonianze anche in video. Piattaforme nelle quali le aziende raccontano (facendo scrivere anche in prima persona) le proprie persone, i propri clienti, la propria community.
NUMERI E NOMI DEI CORPORATE BLOG
Altro che estinti, come argomentava nel 2014 il Guardian. In questa estate 2017 i blog stanno vivendo una nuova primavera e il primo terreno fertile dove stanno attecchendo è quello aziendale, come riporta la ricerca State of Blogging 2017: il 36% delle aziende Fortune 500 ha un corporate blog, l’89% delle aziende ritiene che saranno importanti nei prossimi 5 anni e addirittura il 60% lo considera vantaggioso per il proprio business. Complice la necessità di una narrazione sempre più multimediale e che corre oggi sui social network, gli ultimi mesi hanno segnato la nascita in Italia di vari corporate blog: Adecco con Morning Future, Red Bull con New Heroes, Banca IFIS con Mondo Leasing e poi c’è il restyling del blog di Alce Nero con Fatti Di Bio. Ma anche altri attori, per esempio tra le PMI, hanno deciso di puntare sul corporate blog: penso a Caffè Carbonelli con Il salotto del Caffè e a Berto Salotti.
Anche in questo modo l’impresa rafforza il suo ruolo di storyteller, con contenuti non necessariamente pubblicitari e svincolati dal mero aspetto commerciale. La tendenza è stata apostrofata col termine Branded Content, ovvero tutti quei contenuti con imprinting giornalistico che afferiscono l’azienda anche come produttrice di contenuti. Una tendenza globale che arriva – guarda un po’ – da Oltreoceano e che ha portato Joshua Benton, direttore del Nieman Journalism Lab dell’Università di Havard, a parlare proprio di ribaltamento dei ruoli: “BuzzFeed pensa a se stessa come un’azienda tecnologica, General Electric come ad un editore”, ha dichiarato Benton. Sul tema proprio quest’anno è uscito un libro che rappresenta di fatto una bussola per orientarsi: si chiama “Professione Brand Reporter”: è stato scritto da Diomira Cennamo e Carlo Fornaro per Hoepli.
7 AZIONI PER GESTIRE AL MEGLIO UN CORPORATE BLOG
Corporate blog per orientarsi nel proprio tempo, leggendo il presente e offrendo un’agorà dove offrire anche il proprio punto di vista. In questo modo il comunicatore aziendale è chiamato a utilizzare una tavolozza di colori molto variegata, oggi espressione di una pluralità di linguaggi e piattaforme. Un paio di anni fa, partendo dalle 7 regole del Guardian – da leggere e rileggere ancora oggi!! – avevo scritto 7 azioni che un’impresa dovrebbe adottare per comunicare al meglio online e sui social. Li riporto qui sotto, attualizzandoli proprio in base a questa rivincita dei corporate blog.
Azione 1: ascoltare e mappare. Prima di iniziare a conversare davvero in rete e a scrivere sul corporate blog è fondamentale conoscerla questa rete (e non è detto che quello che vi aspettate si palesi per davvero). Ecco allora che il consiglio è di ascoltare (cercando di distinguere gli elementi di conversazione dal rumore di fondo) e di provare a mappare stakeholder, community, blogger. È fondamentale conoscere questo ecosistema digitale complesso prima di scrivere e mettere online un progetto di corporate blog.
Azione 2: dialogare, rispondere, coinvolgere. Azione complessa, se è vero quanto scrive l’imprenditore esperto di tematiche digitali Dave Balter: in rete vale la regola dell’1-9-90: solo una piccola percentuale della community partecipa in modo proattivo alla co-generazione di contenuti. Peraltro questo dialogo è tanto difficile da mettere in pratica non solo per gli utenti, ma anche per le imprese. Ecco allora che occorre provare a conversare, recuperando quello ‘spirito aloha’, ovvero quell’elemento di empatia fondamentale per creare narrazioni (e relazioni) in rete.
Azione 3: raccontare storie e ‘surfare’ tra le tendenze. Lavorare sulle storie in rete non è mai noioso, perché la rete – a cominciare dai social per approdare sulle proprie piattaforme, corporate blog e website – ci regala sempre qualcosa a cui prestare attenzione. Non si tratta di raccontare bufale o di orchestrare notizie ad hoc, ma di narrare storie anche poco note, valorizzando quelle nascoste, più laterali. D’altronde il futurologo danese Rolf Jensen scrive che da qui al 2020 assisteremo allo sviluppo di una fase costituita dalla società del sogno: “Vivremo in una cultura del consumo che racconterà delle storie attraverso i prodotti che acquistiamo”.
Azione 4: lavorare in logica multipiattaforma. A ciascun pubblico il proprio mezzo, linguaggio, modo di interagire: sembrerà banale, ma costruire storie intercettando un dialogo sui social e online è come creare un abito su misura, e quindi diventa fondamentale personalizzare l’offerta, declinandola a seconda dei pubblici sempre più verticale e degli strumenti a disposizione. Ecco allora che il corporate blog può diventare una piattaforma di approdo, una bussola per orientarsi: è un tema di corretta chiave narrativa, da esplicitare sulle differenti piattaforme per riuscire a intercettare e animare con efficacia la propria community.
Azione 5: Misurare (oltre i numeri). L’ossessione per i numeri – quanti followers? Quanti fan sulla pagina? Quante views nel post sul blog? – dovrebbe lasciare il posto ad una valorizzazione qualitativa. Meno a volta può anche essere meglio. Perché talvolta il pubblico di riferimento è circoscritto, fuori delle consumate logiche generaliste. Si parla oggi sempre più spesso di micro-community e di come addirittura – paradosso?!? – ogni tribù di buoni clienti potrebbe essere contenuta entro un numero di centocinquanta unità. Il numero centocinquanta per Kevin Kelly diventa mille: “A un artista basta avere una tribù di mille veri fan. Sono sufficienti perché mille veri fan gli dedicheranno abbastanza attenzione affinché possa contattare altri sostenitori e compiere un lavoro fantastico. Mille fan, mille autentici fan costituiscono una tribù”.
Azione 6: interagire online e offline. Gli ambienti digitali oggi necessitano di sviluppi fisici, analogici: incontrarsi e confrontarsi dal vivo, rafforzando di fatto le dinamiche espresse in rete e sui social. Ecco allora che l’attività sul corporate blog sta anche nell’incentivare la costruzione di quei progetti che di fatto fluttuano tra online e offline, e che mantengono sempre al centro la persona.
Azione 7: rispettare e farsi rispettare. L’ultima e forse la più importante azione. Quella che peraltro potrebbe suonare strana, forse politicamente poco corretta. Peraltro voi stessi potreste obiettare: okay, va bene il rispetto da dare all’interlocutore, ma la seconda parte è davvero necessaria? Ebbene sì, occorre che anche chi entra in relazione online o sui social, attraverso i vari ambienti digitali come il corporate blog e al netto delle critiche legittime, lo faccia con attenzione e rispetto, attenendosi alle policy che di base dovrebbero essere sempre esplicitate e rese ben visibili. La rete non è e non dovrebbe mai essere un far-west. E in questo anche il rispetto passa per un’azione di reciprocità.
La fotografia in apertura di post è tratta dal website Iris.xyz e nello specifico dal post sui corporate blog dei CEO (qui)