Abbiamo bisogno di aziende “umane” che sappiano comunicare anche durante le tragedie (e perché non è successo con Autostrade)

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«Mi scuso se non siamo stati capaci di far sentire la vicinanza». Con queste parole l’amministratore delegato di Autostrade per l’Italia (e a capo di Atlantia) Giovanni Castellucci ha esordito nella conferenza stampa di questo pomeriggio, fissata peraltro con tempismo discutibile proprio nel giorno dedicato al silenzio, ovvero in questo sabato 18 agosto di lutto nazionale.

LA FORMA DIVENTA SOSTANZA. In queste parole si intravede l’ammissione di aver sbagliato anche toni, modi, forma, registro linguistico nelle ore successive al consumarsi di una tragedia come quella del crollo del ponte Morandi a Genova. Indipendentemente dalle responsabilità per ciò che è accaduto e che ci ha toccato tutti nel profondo (spetterà alla magistratura individuare i responsabili) e per le decisioni politiche (spetta al Governo la proposta di azione) emerge in modo lapalissiano una mancanza di capacità comunicative nell’affrontare una crisi legata ad una tragedia di tali proporzioni da parte del gestore Autostrade per l’Italia. Impreparazione, mancanza di sensibilità e irresponsabilità nel non aver compreso appieno sin dalle prima ore la portata di questa tragedia. Sono queste le principali critiche che sono rimbalzate in rete. A maggior ragione in questo mondo liquido e che corre veloce, nel quale la forma diventa essa stessa sostanza e nel quale le parole acquistano un peso rilevante, quasi quanto le azioni compiute o mancate.

DAL LINGUAGGIO TECNICO ALLE SCUSE. Eppure una evoluzione in queste tristi giornate d’agosto c’è stata nella comunicazione di Autostrade. Dalle prime ore la tragedia ha fatto il giro del mondo ed è rimbalzata ovunque, accelerata dai social, dalla rete, dai video che diventavano virali ed esprimevano il dramma. Ma mentre il mondo intero parlava, scriveva, postava di ciò che accadeva, tirando in ballo il principale attore coinvolto, ovvero la società a capo della gestione della tratta autostradale, quella stessa società rimaneva in silenzio. Così mentre i social venivano inondati da migliaia di tweet di dolore, rabbia, commozione anche con l’hashtag #Autostrade, l’azienda non rispondeva semplicemente perché non era presente su quei social. La risposta veniva solo affidata a comunicati freddi, distaccati, privi di umanità e ripresi poi da tv e giornali. «Dello scarno comunicato che Autostrade per l’Italia ha ritenuto di dedicare al viadotticidio di Genova colpisce innanzitutto l’assenza di umanità. Neanche un pensiero per le vittime, una frasetta raccattabile dal prontuario delle condoglianze (…). Quanto al linguaggio scelto dall’estensore, il quale non ha altre colpe se non quella di aver seguito un copione prefissato, appare irto di “solette”, “carri-ponte” ed espressioni decodificabili solo dagli addetti ai lavori», ha scritto Massimo Gramellini sul Corriere di mercoledì 15 agosto. Poi l’evoluzione, con la presenza di un suo manager nelle trasmissioni televisive, tra tutte “In onda” de La7. E infine la conferenza stampa citata all’inizio del post. Ecco, indipendentemente da ciò che è stato comunicato occorre interrogarsi sula gestione della comunicazione aziendale durante una crisi di tale portata, sul silenzio che oggi più che mai non è tollerabile. E allora ho provato a mettere nero su bianco alcune azioni a mio avviso virtuose e che credo siano mancate ad Autostrade in questa tragedia.

1. OCCORRE UNA COMUNICAZIONE SOCIAL. In questi anni liquidi e connessi è impensabile per un’azienda non essere sui social principali, e tra questi essere assenti da Twitter, il social sincrono per eccellenza e deputato allo scambio di messaggi rapidi nella gestione delle emergenze. «Siamo in una tempesta perfetta, con una forte disintermediazione, un peso maggiore dei media digitali e uno scenario invertito. Per il brand il silenzio non è un’opzione», mi ha detto in un’intervista uscita pochi mesi fa su Nòva del Sole24Ore Fabio Ventoruzzo, vice-presidente di Reputation Institute e vice-presidente di Ferpi. Tutto questo Autostrade non l’ha fatto.

2. OCCORRE UNA COMUNICAZIONE INCLUSIVA. Ma attenzione esserci non basta. Occorre calibrare una comunicazione empatica, umana, che tenga conto delle vittime di una tragedia, della comunità, delle persone dell’azienda, anche degli azionisti che devono sentirsi rappresentati da un brand che decide di schierarsi dalla parte di chi sta soffrendo. Un’altra importante azienda nel settore della distribuzione alimentare da qualche tempo ha scelto come claim “la marca non è un’isola”. Ecco, oggi più che mai il brand è inserito nella comunità e ne partecipa anche del dolore. E tutto questo lo deve esprimere in modo autentico, chiaro, semplice, partecipe. Tutto questo Autostrade non l’ha fatto.

3. OCCORRE UNA COMUNICAZIONE EQUILIBRATA. Ovvero un linguaggio che esprima verità (lo ribadisce anche il Guardian in questo prontuario sulla comunicazione social), chiaro ma al tempo stesso autorevole, che possa sciogliere tecnicismi di ogni sorta per spiegarli ad una platea più allargata. E che peraltro scelga il tempo giusto e il mezzo giusto per veicolare queste informazioni. Ecco che un elemento essenziale è legato alle tempistiche di comunicazione e alla coerenza del linguaggio rispetto alle piattaforme scelte.  Tutto questo Autostrade non l’ha fatto.

4. OCCORRE UNA COMUNICAZIONE TEMPESTIVA. Esserci. Ed esserci in tempo reale informando, aggiornando, facendo percepire l’impegno nella gestione di una crisi o di una tragedia. Qui entra in gioco la presenza essenziale soprattutto su alcuni social, come detto sopra. E tra questi l’irrinunciabile necessità di essere su Twitter, il canale real time per eccellenza.  Tutto questo Autostrade non l’ha fatto.

5. OCCORRE UNA COMUNICAZIONE CORAGGIOSA. Ovvero una comunicazione che “ci metta la faccia” facendo parlare il top management o i manager di riferimento. E che prima di parlare si metta in ascolto delle persone, della comunità. In questo senso l’evoluzione di Autostrade in questa tragedia in parte c’è stata. Ma anche in questo caso ha sfruttato il mezzo di comunicazione più mainstream come la tv, dimenticando come da Internet in generale e dai social in particolare passano quelle comunicazioni che oggi sono strategiche nel processo di comunicazione ad una comunità. E che fanno la differenza tra vicinanza e lontananza.

La foto in alto al post è un tweet diventato virale durante queste drammatiche giornate. Il disegno è di Gokcen Eke, fondatore dello studio Caricaturella. Il tweet è stata condiviso sulle bacheche di migliaia di utenti. Qui il suo account, qui il suo website